LA PAROLA CHE SALVA – LA TESTIMONIANZA DELLO SCRITTORE E INSEGNANTE ERALDO AFFINATI

di Marco Tonini*

 

Il giorno 08/02/2014 gli studenti delle scuole superiori degli Istituti “Redentore”, in occasione dell’ Assemblea di Istituto tenutasi nel teatro multifunzionale dalle 10.30 alle 13.00, hanno incontrato Eraldo Affinati, insegnante e scrittore di grande notorietà, di cui avevano letto “L’elogio del ripetente” (classi prime, seconde e terze) e “La città dei ragazzi” (classi quarte e quinte), opere in cui la cornice saggistica, estremamente fluida, inquadra una narrazione a metà tra il “diario di bordo” di un insegnante alle prese con le tante difficoltà che pone la sua professione quando è esercitata in contesti di disagio ed emarginazione sociale e il romanzo familiare, che permette all’autore di fare i conti con il proprio difficile passato. Eraldo Affinati (1956) vive a Roma e insegna in una succursale dell’‘Istituto Professionale per l’Industria e per l’Artigianato “Carlo Cattaneo”, ubicata nella Città dei Ragazzi, una comunità di accoglienza e recupero per ragazzi abbandonati e vittime delle più diverse forme di emarginazione, fondata dal sacerdote irlandese Carroll Abbing nel 1953. Attualmente ospita ragazzi e ragazze, soprattutto stranieri, con problematiche psico-sociali. La struttura promuove la crescita della personalità di questi giovani attraverso il metodo dell’autogoverno: ogni due mesi essi eleggono, tra loro, un sindaco e, nelle assemblee settimanali, discutono i problemi della comunità, assegnano le cariche amministrative e istruiscono processi contro i trasgressori delle norme che regolano la vita comune, naturalmente sotto la supervisione degli educatori. Hanno, infine, non solo il dovere di studiare, ma anche quello di lavorare e svolgere tutti i servizi utili al corretto andamento della vita comunitaria, e vengono, per questo, retribuiti in “scudi”, la moneta locale, con cui possono acquistare tutto ciò di cui hanno bisogno nel bazar all’interno della struttura.

Affinati ha pubblicato numerose opere: Veglia d’Armi. L’uomo di Tolstoj, Genova, Marietti, 1992; Soldati del 1956, Firenze, Nardi, 1993; Bandiera bianca, Milano, A. Mondadori, 1995; Patto giurato. La poesia di Milo De Angelis, Pescara, Tracce, 1996; Campo del sangue, Milano, Mondadori, 1997; Uomini pericolosi, Milano, Mondadori, 1998; Il nemico negli occhi, Milano, Mondadori, 2001; Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer, Milano, Mondadori, 2002; Secoli di gioventù, Milano, Mondadori, 2004; Compagni segreti. Storie di viaggi, bombe e scrittori, Roma, Fandango Libri, 2006;  La città dei ragazzi, Milano, Mondadori, 2008; Questo terribile intricato mondo. Racconti politici, con Alberto Asor Rosa, Stefano Bartezzaghi, Ascanio Celestini, Diego De Silva, Paolo Di Stefano, Marcello Fois,Rosetta Loy, Michela Murgia, Antonio Pascale, Walter Siti, Sebastiano Vassalli, Torino, Einaudi, 2008; Berlin, Milano, Rizzoli, 2009; Peregrin d’amore. Sotto il cielo degli scrittori d’Italia, Milano, Mondadori, 2010;  L’11 settembre di Eddy il ribelle, Roma, Gallucci, 2011; Elogio del ripetente, Milano, Mondadori, 2013. Ha fondato a Roma, con la moglie, la Penny Wirton, una scuola per l’alfabetizzazione degli immigrati senza voti, registri, classi e gratuita.L’elogio del ripetente, dal titolo apparentemente paradossale, più che una riproposizione di temi e atteggiamenti fatti propri da una certa frangia del movimento sessantottino e da alcuni poco attenti continuatori del lavoro straordinario di don Milani, è, prima di tutto, un atto d’accusa nei confronti della società italiana contemporanea, che alletta con false e superficiali promesse di benessere e notorietà giovani che, poi, confina nella solitudine e nel vuoto esistenziale; in secondo luogo, un atto di accusa contro quelle famiglie e quegli insegnanti che fingono di non vedere il male oscuro che divora gli adolescenti e che non si pongono come modelli reali e credibili, in vista di un percorso di crescita e maturazione. Sofferenza, deserto affettivo, vuoto relazionale producono insicurezza, che si manifesta in due modi: l’aggressività estrema (bullismo, pestaggi) o la passività più totale (rifiuto dell’amicizia, incapacità di confrontarsi con gli altri, alienazione in attività come la navigazione in rete e le partite con i videogiochi, protratte per intere giornate). Il problema più urgente da affrontare oggi, afferma giustamente l’autore, non è la disoccupazione o il declino economico, ma quello morale: la mentalità edonistica imposta dal Neocapitalismo ha sfaldato il tessuto connettivo della società, cementato, in passato dall’ abitudine al sacrificio e dal senso del dovere; non esistono più limiti nè confini ai desideri e alle pretese dei singoli: quasi sempre vanificate, degenerano in frustrazione e disperazione. Ecco il quadro sociale in cui si formano i nostri giovani, che portano a scuola tutti i mali in esso assorbiti e subiti. I professori, continua Affinati, non possono essere semplici funzionari ministeriali e distributori di voti, ma devono ascoltare i ragazzi, cercare di entrare nelle loro vite, conquistarne la fiducia, per svolgere al meglio la propria attività di educatori. La necessità del voto penalizza le potenzialità insite in molti studenti, ne soffoca lo spirito e la creatività, li imbriglia in un sistema di parametri di giudizio da cui sono illusi o delusi oltre i loro  reali demeriti. Ciò non significa, beninteso, il sei politico a tutti, in ragione dei disagi sofferti, o diventare sic et simpliciter amici degli studenti: occorre far capire a questi ultimi che la fiducia concessa va ripagata con la presa di coscienza che vivere in società impone anche vincoli e obblighi, ineludibili ma necessari per un sano processo di crescita. Compito arduo: ma l’insegnante, per l’autore, è l’unica figura di educatore spesso presente nella vita dei ragazzi; arrendersi alle prime difficoltà o delegare ad altre figure il compito di cambiare questo stato di cose significa affossare definitivamente intere generazioni e sottrarsi alla propria vocazione pedagogica. Parole vere, ponderate, ma, soprattutto, vissute nel lavoro quotidiano da Affinati, che è  riuscito a identificarsi con questa figura di insegnante. Da questa straordinaria esperienza umana è nato anche il libro La città dei ragazzi, in cui l’autore intreccia un dialogo serrato tra le storie dei “ragazzi di vita” incontrati nella comunità, i vari Hafiz, Petrit, Khuda, Qambar, Nabi, Shumon, fuggiti nei modi più romanzeschi dai Balcani, dall’ Afghanistan e dall’ Africa, e il proprio destino di figlio di orfani di guerra incapaci di aprirsi con lui e parlargli, lacerati da un’eredità di memorie troppo dolorose per poter essere affrontate. Ma la parola salva, come nel caso dei tanti ragazzi cui Affinati ha insegnato a trovare nella letteratura uno stimolo, un conforto ad affrontare la vita e a migliorarla, recuperando dignità e speranza; o risarcisce, come nel caso dei genitori che possono essere “salvati” e “amati” negli altri con la vivida luce della poesia, che raffina le sofferenze in capacità matura e responsabile di progettare un futuro da persone libere. Queste le tematiche dibattute nell’assemblea di sabato scorso, in cui l’autore ha risposto alle domande di chiarimento e commento di vari passi delle opere lette rivoltegli dagli studenti. L’uditorio ha dimostrato grande attenzione e interesse, accompagnando con lunghi applausi gli interventi di Affinati, che sa ben interpretare stati d’animo ed esigenze largamente diffuse nel mondo giovanile e propone soluzioni “difficili”, certamente, ma vincenti. La tentazione di molti docenti, di fronte a situazioni di disagio scolastico sempre più frequenti, è, spesso, quella di scoraggiarsi e pensare di trovarsi di fronte a un muro invalicabile. Affinati, in proposito, osserva, molto giustamente, che la scuola è l’incontro di due solitudini: quella dei ragazzi, talvolta scarsamente alfabetizzati, poco interessati e surclassati da problemi più grandi di loro, e quella del docente, che non si sente capito e lavora, talvolta, oppresso da problematiche di non minore gravità. Essere insegnanti significa affrontare e vincere i propri fantasmi, fare i conti con i problemi che inevitabilmente si presentano, per portare a scuola quell’equilibrio e quella lucidità che sono indispensabili per abbattere il muro del silenzio e dell’ostilità che caratterizza molti studenti. Lo ripetiamo, Affinati ci è riuscito e rappresenta un modello e una figura di riferimento indispensabili per ripensare la scuola, che stenta ad adeguarsi ad una società in rapidissima evoluzione, che sembra poter fare a meno della cultura e propone miti che si rivelano trappole mortali per tutti coloro che li accettano. Noi docenti del “Ferrini” ringraziamo, anche a nome dei nostri studenti, il Rettore don Manuel Beltrami, il Dirigente Scolastico Prof.ssa Chiara Aldrigo e il Vice Dirigente Prof.ssa Cinzia Bellini per averci dato l’opportunità di ascoltare la preziosa testimonianza di Affinati, cui vanno la nostra stima e riconoscenza e che speriamo di incontrare di nuovo, perchè “c’è un’opera umana da compiere”, secondo le parole del teologo Pierre Teilhard de Chardin, riportate nell’epigrafe  posta in esergo al romanzo “La città dei ragazzi”. E ha bisogno di tutti noi.

 

*docente di lettere presso gli Istituti Redentore